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Andrea Viliani "SKIN"

Skin significa, in inglese, pelle: è un progetto nato dal desiderio degli artisti di mettere in relazione l’aspetto esteriore, il colpo d’occhio, la prima impressione, e forse anche il pregiudizio, e l’aspetto interiore di chi, casualmente, incrocia il nostro sguardo, cattura la nostra attenzione… quotidianamente. Definito dagli artisti un “album dei ricordi”, queste immagini ritraggono artisti di strada, persone eccentriche, ma anche e soprattutto persone del tutto normali che, non di meno, catturano la nostra attenzione per un dettaglio, un particolare, una sfumatura, che li rendono unici, anche se la loro identità continua a rimanerci del tutto estranea. Il fascino che ci ispirano non è fatto di informazioni, ma da un arabesco di interrogativi, supposizioni, ipotesi, riflessioni, spunti.

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E’ un ritratto collettivo, curioso, fantastico di un’epoca digitale e globale, in cui tutto è a portata di mano, eppure la cui essenza, contatto, approfondimento misteriosamente ci sfugge. In cui tutto è mobile, eppure ci tocca, ci sorprende, ci attrae. E quindi infine ci sospende, sull’orlo di una catena di domande: “Chi sei? Da dove vieni? Dove vai? Cosa pensi? Cosa provi?”…

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Se la città moderna ha posto questi interrogativi già al flaneur Charles Baudelaire, nella Parigi di fine ottocento, e se i primi pittori di questi paesaggi mobili, sospesi, effimeri eppure densi di promesse, sono stai gli impressionisti, immersi nel flusso della vita moderna, volti in mezzo alla folla, oggi l’artista contemporaneo, consapevole ormai della consistenza aerea della vita contemporanea (come aerea è l’impalpabile pennellata impressionista), può voler desiderare di fermarsi, di rallentare, di concedersi tempo. Forse dopo un secolo in (futurista) velocità, oggi appare più opportuno, soddisfacente, lo slow movement e lo stop motion…

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Nell’epoca di internet e dei viaggi low-cost, dei social network e delle immagini scattate con il telefonino, dell’archiviazione digitale di milioni di immagini e della dispersione di una memoria e identità collettive in milioni di hard disk singoli, Skin ci fa toccare con mano la consistenza di una conoscenza solo superficiale delle nostre emozioni più intime, ci porta a toccare quasi con mano la nostra contraddizione di vivere un tempo sospeso, fra densità e volatilità, fra moltitudine e solitudine, fra qui e altrove, fra ora e poi, fra noi e gli altri.

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Per rappresentare questo nostro vivere ed essere contemporanei gli artisti utilizzano in effetti come supporto della tela una “stoffa damascata, che con i suoi rilievi imprime sulla figura una specie di tatuaggio”. L’utilizzo di un elemento così materico ha la funzione di rallentare il ritmo dell’immagine, trattiene lo sguardo, gli impedisce di sfuggire verso altri soggetti, verso altre sollecitazioni, di soffermarsi a guardare, a prestare attenzione, oltre la superficie, il primo impatto. Anche lo sfondo, invece che baluginante di spezzature e di inviti (come nelle invitanti ombre violacee degli impressionisti, già presaghe delle luminescenze futuriste) si fa piatto e uniforme, monocromo, fino a diventare trasparente, grazie a una successiva stesura di uno strato di vetroresina. Quasi un salvaschermo (di pc o ipad), un luogo non della fuga, ma al contrario della pausa, mentale e operativa, su cui scorrono con un movimento del dito (come su un ipad, o con un battito di tasto, come su un pc) appunti di memoria, pronti per essere riguardati e riconsiderati, analizzati e scomposti, abbinati e trasformati, comparati e post-prodotti, introdotti in una “dimensione spazio-temporale del tutto personale”, che è quella dell’artista al lavoro di archiviazione digitale e ricreazione, ma anche dell’osservatore intento ad osservare questi personaggi, e a diventarlo a sua volta.

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E, se ci può essere un luogo adatto a questa opera di confine fra se e altro, fra movimento e riposo/riflessione, questo è il luogo in cui vi trovate, un luogo di incontro, di dialogo, di passaggio. Il luogo dove l’arte e la vacanza (intesa come tempo libero e liberato), ovvero dove il rapporto fra me gli altri, superficialità e approfondimento, curiosità individuale e conoscenza reciproca… possono mettersi in scena.

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Andrea Viliani

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